La concezione del "Fare" nella borghesia europea
Uno degli aspetti fondamentali della borghesia europea, dal XVI secolo a oggi, è la sua visione dell'arte suprema dell'uomo: la capacità di "fare" e di "creare". Questo concetto distingue l'uomo dall'animale e lo avvicina a una divinità, sottolineando la sua dote di far nascere sulla Terra ciò che non vi è in natura attraverso il lavoro, la scienza e la tecnica. La borghesia vede l'uomo come il costruttore dell'artificiale, una nozione che si dice derivata dalla religione cristiana, dove l'uomo è visto come immagine di Dio e signore della natura.
La creazione e il benessere economico
Per la borghesia, l'uomo crea "dal nulla", plasmando i materiali bruti come crede e costruendo il proprio benessere. La principale concretizzazione di questo concetto è economica: "fare" significa produrre, costruire, guadagnare e godere dei beni prodotti. L'arricchimento finanziario, l'uso tecnologico della conoscenza e il consumismo sono tutte conseguenze dell'essenza dell'uomo inteso come lavoratore, come homo faber.
Il ruolo del lavoro nella società borghese
In questa visione, poco importa che per ogni borghese esista un numero significativo di proletari che lavorano per un salario: il fare, il lavorare sono visti come medesimi sia per il capitano d'industria che per l'operaio, uniti nello slancio del lavoro manifatturiero e industriale. La libertà di fare unisce tutti. Anche il commerciante coopera al "fare", poiché vendendo i prodotti del lavoro, contribuisce a completare il ciclo economico virtuoso.
L'uomo come essere libero e compito
Secondo la borghesia, l'uomo non ha nulla da imparare o da perfezionarsi. Egli esce dal grembo della natura (dalle "mani di Dio") libero e compiuto, pieno di facoltà e diritti naturali, pronto a utilizzarli produttivamente nella vita terrena. Questa concezione ottimistica e quasi divina del ruolo dell'uomo ha influenzato profondamente la cultura e la società europee.
La visione borghese del "fare" e del "creare" ha avuto un impatto duraturo sulla società, promuovendo un modello di sviluppo basato sulla produzione, il profitto e il progresso tecnologico. Questo modello ha contribuito a plasmare l'identità culturale ed economica dell'Europa moderna, ma ha anche generato disuguaglianze e crisi che richiedono una riflessione critica. La sfida per il futuro sarà trovare un equilibrio tra il valore del lavoro e il benessere umano, creando un mondo in cui la creatività e la produttività possano coesistere con l'armonia sociale e ambientale.
La mercificazione del sociale: una crisi dell'umanità
Nel mondo contemporaneo, le relazioni umane mantengono comportamenti etici e affettivi, gratuiti e oblativi, non finalizzati al guadagno. Tuttavia, questo non contraddice l'assunto di fondo: il sociale si è completamente lavorizzato e mercificato, con l'umano ridotto a oggetto quotidiano di sfruttamento.
L'umano nel contesto del lavorismo sociale capitalistico
L'interfacciarsi del sociale utilitarista con l'umano si riflette nella definizione sociologica delle attività di cura (oblative, affettive, disinteressate) come "elemento centrale del processo di riproduzione sociale" o "fattore decisivo dello sviluppo delle risorse produttive". L'umano è ormai visto come complemento funzionale del lavorismo sociale capitalistico. La subordinazione del fuori-lavoro e del non-lavoro al lavoro porta a considerare queste realtà solo in forma privativa e non come costitutive dell'umanità.
La prospettiva delle società pre borghesi
In contrasto, le società pre borghesi e premoderne avevano circoscritto l'ambito del lavoro per preservare spazi dell'agire e del pensare dalla contaminazione con le finalità e i mezzi dell'economia. In queste società, si trovavano attività e prerogative che non potevano (e non dovevano) essere assimilate al lavoro, all'utilità, all'interesse personale, pena la decadenza del loro significato socio-culturale. Tra queste attività vi erano la ricerca filosofica, le manifestazioni dell'affettività, la virtù militare, e la vita religiosa: tutte espressioni di una cura-di-sé che mirava all'autoperfezionamento.
La crisi della modernità
La trasformazione del sociale in un contesto di lavorismo e mercificazione ha portato a una crisi dell'umanità, dove l'essere umano è visto principalmente come una risorsa produttiva. Questa visione utilitaristica limita la comprensione della complessità e della profondità dell'esperienza umana, riducendo tutto a termini economici e produttivi.
Per superare questa crisi, è fondamentale rivalutare le attività e le pratiche che sfuggono alla logica del lavoro e del guadagno. Recuperare spazi di azione e pensiero indipendenti dalle finalità economiche potrebbe permettere un ritorno a una concezione più ricca e completa dell'umanità, dove il benessere non è solo una questione di produzione e consumo, ma anche di cura, affetto e autorealizzazione.